Con l’abilità si manipola la materia, con la cultura gli si da un senso, ma per definire Arte ciò che si realizza, occorre il catalizzatore dell’alchimia suggestiva foriera d’inaspettata sinestesia: il senno artistico.
Quell’elemento è congenito, non si forma in un’Accademia che addestra a trattare i componenti e neppure apprendendo nozioni.

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Artista è colei o colui che crea emozioni uditive, tattili o visive o simultaneamente connesse.

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A proposito dell’arte visiva; dalle primitive immagini propiziatorie-descrittive rupestri al Kako Genzai E-Ingakyō (sutra illustrato del karma passato) a Hokusai e Utamaro guardone di cortigiane, da Artemisia Gentileschi alle Écoles dei neoclassicisti, a Magritte fino a Monory, tutti i grandi artisti e mi perdonino le migliaia che non ho citato, hanno celebrato l’immagine come elemento essenziale per ispirare emozioni, senza dover ricorrere alla complicità di prezzolati e spesso ingannevoli interpreti che suggeriscano al pubblico il significato dell’opera. A questo proposito cito la truffa ideologica che hanno perpetrato per anni
(dal 1937) gli ingannevoli esegeti d’opere, tuttora non redenti, relativa al dipinto Guernica del grande Picasso. Egli non commemorò le cento vittime della cittadina bombardata, ma un’epigrafe in onore del torero Joselito morto nel ruedo. Dunque il pubblico osserva un dipinto pagato da Stalin trecentomila pesetas dal significato diverso da quanto descritto.

Il “critico d’arte” che alberga in noi che vediamo e che risiede nella corteccia che ha elaborato ciò che i fotorecettori hanno inviato ai neuroni retinici, ci descrive l’opera senza dover attingere a fonti esterne e senza ingannarci.

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Dunque: mi piace; non mi piace ma mi emoziona; non mi piace e non mi emoziona. Punto.

L’Arte è tutto ciò.